Il fondo Atlante potrebbe essere la soluzione per la spinosa questione dei non performing loans delle banche nostrane. Infatti, l’Unione Europea ha più volte spronato l’Italia a risolvere questa delicata situazione che grava pericolosamente sulla sua economia nazionale. Per chi non lo sapesse, i non performing loans sono tutti quei prestiti che le banche hanno fatto nel corso degli anni, ma che adesso sono diventati quasi impossibili da recuperare. Ovviamente, tra tutti i non performing loans bisogna fare delle distinzioni: alcuni di essi sono più facilmente recuperabili di altri. Resta il fatto però, che le banche italiane hanno tre volte la media europea di non performing loans tra gli asset del loro portafoglio di investimenti. Errori che le nostre banche hanno compiuto nel corso degli anni e che minacciano di mettere in crisi l’intero sistema bancario italiano.
Per tale motivo, il governo italiano insieme ad istituzioni private, ha lavorato a lungo per la creazione di questa soluzione: il fondo Atlante. Il fondo Atlante avrà il compito di prendersi a carico i non performing loans delle banche italiane, avrà una operatività iniziale di 5 miliardi (già estendibile a 6 miliardi di euro) e potrà contare anche sull’operatività a leva. La durata base di attività per il fondo Atlante è stata fissata inizialmente per un periodo di 5 anni, estendibile di ulteriori 3 anni in caso di necessità.
Come funziona il Fondo Atlante per salvare le banche
Il fondo Atlante sarà gestito da Quaestio SGR (che è al 37% di fondazione Cariplo), presediuta da Alessandro Penati. Al fondo Atlante prenderanno parte anche le maggiori compagnie assicurative come: Unicredit, Intesa, Ubi Banca, la Cassa depositi e prestiti (seppur in parte minore), e altre banche italiane e alcune fondazioni. Una sorta di “dream team” voluto dal governo per unire le forze e risolvere il problema dei non performing loans. Non è però ancora chiaro l’intero elenco dei partecipanti e come verranno gestiti i capitali aggiunti al fondo. Di certo si sa che Intesa San Paolo e Unicredit avrebbero garantito un miliardo di euro a testa, mentre un altro miliardo potrebbe essere raccolto dalle compagnie assicurative che ne prenderanno parte. La cassa depositi e prestiti invece parteciperà in maniera minore, con un supporto di circa 300 milioni di euro. Il restante sarà suddiviso tra le altre fondazioni e banche che partecipano al fondo Atlante.
Il fondo Atlante, in linea teorica, dovrebbe generare dei rendimenti dato che verrà lanciato da Quaestio SGR come fondo di investimento alternativo. Una domanda però che in molti si pongono è: che ruolo gioca il governo nella gestione del fondo Atlante? Il governo italiano ha sicuramente messo tra le sue priorità quelle di risolvere la situazione dei non performing loans, proprio per garantire stabilità al comparto bancario italiano. La creazione del fondo Atlante smentisce, tra l’altro, quanto detto dal Ministro Padoan riguardo alla capacità del sistema economico italiano di cavarsela da solo. Resta il fatto che il governo italiano non può entrare economicamente all’intero dell’operazione del fondo Atlante, perciò gli unici aiuti che il governo potrà dare al fondo Atlante sono di carattere legislativo ed esecutivo.
Molto probabilmente quindi il governo italiano emanerà un decreto per velocizzare il rientro delle sofferenze, quindi de non performing loans. Oltre a dover garantire delle agevolazioni fiscali per gli intermediari che hanno deciso di aderire al fondo Atlante per risolvere la spinosa situazione dei non performing loans (il tutto molto probabilmente a carico dei contribuenti). Sul primo punto, quindi il velocizzare il rientro delle sofferenze, anche il Presidente del consiglio di gestione di Intesa San Paolo ha sollevato qualche dubbio, dicendo che tale mossa potrebbe poi avere degli effetti collaterali contro producenti. Infatti, velocizzare il rientro dei crediti significa mettere in ulteriore difficoltà sia le piccole-medio imprese che si sono indebitate, così come le famiglie italiane. In entrambi i casi infatti, sono stati motivi economici quelli per cui non sono riusciti a ripagare i prestiti che le banche gli hanno concesso (sia ai privati che alle imprese). Dover velocizzare il processo di restituzione del prestito, danneggerebbe ulteriormente sia le imprese che le famiglie che si ritrovano in questa spiacevole situazione. Infatti, le banche e gli istituti di credito si andrebbero a rifare immediatamente su i beni sia delle famiglie (come immobili e macchine), che su i beni delle imprese (come i negozi, locali o industrie), pignorando il tutto.
Dubbi e rischi relativi al fondo Atlante: sarà sufficiente?
Molti analisti hanno sollevato diversi dubbi riguardanti il fondo Atlante, tanto voluto dal governo italiano. Uno dei primi dubbi è relativo al capitale disponibile del fondo. Come abbiamo detto, per ora vi sono 5 miliardi di euro disponibili, forse anche 6 miliardi con una estensione. Una cifra però non proprio esaltante e che potrebbe essere considerata solo una cifra iniziale per il fondo Atlante. Infatti, la prima mossa del fondo Atlante sarà quella di un sostanzioso aumento di capitale per Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, per un totale di quasi 4 miliardi di euro. Cifra quasi pari insomma al capitale disponibile per il fondo. Eppure è la prima mossa urgente da compiere, poiché l’aumento di capitale per le due banche a forte rischio bancarotta deve essere fatto in data 10 Maggio 2016. Una mossa appoggiata anche dalle stesse banche che partecipano al fondo Atlante. Infatti, le due banche sopracitate senza tale aumento di capitale chiuderebbero i battenti e metterebbero in seri problemi altre banche come Banco Popolare e in futuro forse pure Montepaschi. Per tal motivo, per evitare un effetto domino si ha scelto di iniziare proprio con Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
Altri dubbi sono relativi alla gestione dei non performing loans, ovvero i crediti deteriorati, la vera spina nel fianco del comparto bancario italiano. Il valore dei crediti deteriorati italiani è di ben 88 miliardi di euro netti, mentre il lordo supera i 200 miliardi di euro. Ed è proprio quest’ultima cifra che l’Unione Europea prende in considerazione per tenere sotto controllo lo stato salute delle economie dei differenti paesi dell’Eurozona. Una cifra tre volte più grande della media europea. Lo scopo del fondo Atlante, teoricamente, sarebbe quello di comprare i crediti deteriorati delle banche italiane a prezzi superiori di quelli del mercato, tramite l’acquisto in tranche junior (le più rischiose). Il fatto di comprare i crediti deteriorati ad un prezzo maggiorato è dovuto proprio all’idea di venire incontro alle banche in difficoltà. Altrimenti, tali banche sarebbero state costrette a svendere i propri crediti deteriorati a fondi esteri, i quali ovviamente nel lungo andare otterrebbero degli ottimi rendimenti.
Se però il fondo Atlante acquista tali crediti deteriorati a prezzo maggiorato, da una parte le banche che li vendono tornano “a respirare” di nuovo, avendo evitato un ulteriore perdita. Dall’altra però, il fondo Atlante si ritrova con una bella gatta da pelare. Infatti, se si ipotizza un prezzo d’acquisto maggiorato del 40%, il capitale di cui adesso il fondo dispone, non sarebbe nemmeno in grado di acquistare tutti i crediti deteriorati di Montepaschi, quindi di una sola banca. Inoltre bisogna sommare il fatto che non sapendo quali siano i crediti deteriorati coperti da garanzia e quali non coperti da garanzia, vi è il rischio per il fondo Atlante di operare in perdita. Perdita che ricadrebbe sugli investitori e istituti, privati, che hanno deciso di far parte del fondo Atlante. E’ quindi scontata un’ulteriore iniezione di capitale per il fondo, probabilmente anche più di una.
Fondo Atlante: palliativo più che cura
Tutti questi fattori presi in considerazione fanno sembrare il fondo Atlante più una cura momentanea e provvisoria, che una cura definitiva per il male che affligge il sistema bancario italiano. Un male che poteva anche essere evitato, se il governo avesse agito in tempo anziché continuare a rinviare e rinviare tale questione. Di certo l’Unione Europea per adesso ha preferito optare per un “no comment” riguardo alla questione del miglioramento della salute dell’economia italiana. Anche se il via libero definitivo spetta sempre all’Unione Europea, ma in questo caso il fondo Atlante è interamente finanziato da privati e comprerà i non performing loans a prezzo maggiorato.
Perciò il governo si ritiene fiducioso sull’assenso dell’Unione Europea, anche se molto probabilmente anche l’Europa chiederà maggiori chiarimenti riguardi alla capitalizzazione (soprattuto futura, perché come abbiamo visto per ora è praticamente insufficiente a risolvere il problema) del fondo Atlante. Solo il tempo poi, se l’Unione Europea dà il suo via libera, potrà dirci se il fondo Atlante sarà un clamoroso buco nell’acqua o se riuscirà a risolvere, in parte, la situazione economica italiana.
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