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Il meccanismo delle vendite allo scoperto è stato spesso accusato, nel contesto della grave crisi finanziaria scoppiata nel 2008, di amplificare le fasi ribassiste in Borsa, motivo per il quale sono state più volte vietate sui titoli finanziari, ovvero quelli che in un simile contesto risultavano essere maggiormente sotto pressione.

Ma il divieto imposto si è rivelato davvero efficace?

Analizzando quanto accaduto nell’agosto dello scorso anno, quando furono vietate le vendite allo scoperto sui titoli finanziari, si può affermare che l’efficacia del divieto è reale solo nel breve periodo, mentre nel lungo periodo sembra affievolirsi fino a svanire completamente.

Più nel dettaglio, se si considerano solo le due sedute successive al divieto di qualche anno fa, il FTSE Bank registrò un rialzo del 2,68%, contro il +0,39 dell’Ftse Mib. Se però si allunga lo sguardo la situazione cambia, in quanto a quindici giorni di distanza dal divieto il paniere bancario arrivò a cedere l’8,37%, mentre l’Ftse Mib perse il 6,85%.

Il dibattito, tuttavia, resta ancora aperto, soprattutto perché non si sa realmente cosa sarebbe accaduto se non fosse stato imposto il divieto.

I sostenitori di tale decisione, ovviamente, ritengono che se non fosse stata vietata tale pratica sarebbe stata registrata una flessione ancora più ampia. Quel che è certo è che se l’obiettivo reale è quello di limitare la volatilità e dare maggiore stabilità ai mercati occorre che vengano inclusi nel divieto tutti gli asset, tutti i mercati e tutte le piattaforme… un’eventualità abbastanza difficile da realizzarsi nella realtà, lasciando delle crepe aperte in questo provvedimento.

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