Giorgio Armani è stato un innovatore non solo nel mondo della moda, ma anche nel modo di pensare al futuro della propria azienda. Così come nei suoi abiti riusciva a coniugare linee eleganti e apparente semplicità, anche nel suo testamento imprenditoriale ha lasciato indicazioni precise e, in parte, contraddittorie, per assicurare continuità e stabilità al gruppo da 2,3 miliardi di euro di ricavi.

Secondo le volontà dello stilista, scomparso a 91 anni, entro un anno dalla sua morte gli eredi – tra cui il fidato collaboratore Leo Dell’Orco e la Fondazione Armani – dovranno vendere il 15% del capitale a uno dei tre colossi francesi quotati in Borsa: EssilorLuxottica, L’Oréal o LVMH. Successivamente, nel giro di tre-cinque anni, sarà possibile cedere la maggioranza allo stesso acquirente oppure, qualora l’operazione non andasse in porto, optare per una quotazione in Borsa, mantenendo comunque una quota del 30% in mano alla Fondazione.
La logica di Armani è chiara: rafforzare il marchio attraverso l’ingresso di un partner internazionale dotato di esperienza e risorse, senza però rinunciare a un certo grado di controllo. Una scelta che riflette la volontà di garantire al brand una posizione solida dopo la perdita del suo fondatore, ma che apre anche interrogativi sul tempismo e sulla reale convenienza dell’operazione. Vendere rapidamente, infatti, può non coincidere con il momento più favorevole del mercato.
Inoltre, la scelta dei potenziali acquirenti pone alcuni dubbi: se da un lato L’Oréal ed EssilorLuxottica hanno legami forti con Armani nei settori dei profumi e dell’occhialeria, dall’altro non sono veri gruppi di moda e potrebbero non avere interesse a un’acquisizione totale. Diverso il discorso per LVMH, guidato da Bernard Arnault, che negli anni ha dimostrato la capacità di integrare e valorizzare maison storiche, con un approccio flessibile tra partecipazioni di minoranza e controllo pieno.
Il valore potenziale del marchio Armani, stimato attorno ai 6,5 miliardi di euro sulla base di multipli simili a quelli pagati da Kering per Valentino nel 2023, rende l’operazione appetibile per molti attori del lusso. Non è escluso, dunque, che altri gruppi possano inserirsi nella partita, qualora i tre preferiti da Armani non concretizzassero l’acquisto.
Alla fine, il futuro della maison potrebbe realmente intrecciarsi con il destino di LVMH, il player che più di ogni altro incarna il connubio tra moda e finanza. Un epilogo che, in fondo, rispecchierebbe l’eredità lasciata da Giorgio Armani: unire mondi diversi, trasformando apparenti contraddizioni in equilibrio e successo.
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