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L’affrancamento automatico è una proceduta prevista e regolamentata dalla legge che ha portato non poche novità in relazione alla tassazione delle rendite finanziarie. Si parla di affrancamento automatico in relazione a strumenti finanziari molto eterogenei: dalle azioni ai bond, dal Forex & Cfd trading alle Sicav, dai Fondi Comuni di Investimento alle polizze assicurative. Praticamente, stando alle disposizioni di legge, solo i titoli di stato non sono interessati alle norme sull’affrancamento automatico. Ma cosa è questo strumento e sopratutto come funziona e quando si può ricorrere all’affrancamento automatico. Prima di rispondere a queste domande partiamo dalla definizione.

Significato affrancamento fiscale automatico

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Non esiste una definizione precisa di affrancamento automatico. Per comprendere cosa si intende con questo concetto è necessario risalire al significato della parole che stanno a monte ossia affrancamento fiscale. Con questo termine si indica una cessione fittizia di un titolo finanziario che permette di continuare ad applicare una aliquota in vigore prima dell’approvazione di una legge. In pratica l’affrancamento fiscale è un escamotage previsto dal legislatore per non costringere l’investitore a vendere e riacquistare il suo titolo. Grazie all’affrancamento fiscale si risparmia quindi sulle commissioni. Questo processo è automatico nel senso che non è necessaria alcuna azione da parte dell’investitore per la sua attuazione.

Tassazione rendite finanziarie affrancamento automatico

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Nell’ambito finanziario si è parlato di affrancamento automatico nel maggio 2014 a seguito del varo di una nuova regolamentazione sulla tassazione delle rendite finanziarie. In quella occasione, infatti, il governo Renzi varò un incremento non indifferente dell’imposizione fiscale. Con il decreto n.66 dell’aprile 2014, l’aliquota fu incrementata dal 20% al 26%.

La norma interessò tutti gli strumenti finanziari con la sola eccezione dei titoli di stato, già assottigliati da rendimenti quasi negativi. In particolare, in virtù della legge del maggio 2014, anche la tassazione su conti correnti, libretti postali, certificati di deposito e conti deposito fu portata dal 20 al 26%. Stesso destino, ovviamente, per quello che riguarda azioni, bond e strumenti derivati.

Nella contestatissima norma si faceva anche una distinzione in merito alla tassazione sugli strumenti di risparmio gestito ossia su Fondi Comuni, sulle SICAV e sulle polizze assicurative. In pratica la normativa stabiliva una imposizione del 12.50% per la parte investita in titoli di Stato e del 26% per tutto il resto.

Quello che emerse da questo schema era un vero e proprio salasso tributario. Un conto salatissimo ma evitabile visto che, proprio in relazione agli strumenti in guadagno, venne creata la scappatoia dell’affrancamento automatico.

Affrancamento cosa è e come funziona

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L’affrancamento fiscale permette agli investitori che hanno titoli in guadagno di restare assoggettati alla vecchia aliquota del 20% restando bloccati ad essa. Sotto questo punto di vista, l’affrancamento è l’unica possibilità per sfuggire ad un aumento di imposizione inevitabile. In pratica se non viene applicato questo strumento, la tassazione sui guadagni passa al 26%. Se per esempio si ha in portafoglio un’azione X che vale 10 al momento dell’acquisto e 15 nel momento della vendita, l’aliquota da caricare su quel 5 di guadagno sarà appunto il 26%.

La scappatoia dell’affrancamento fiscale vale solo nel caso di azioni, bond e strumenti derivati. Capire come funziona l’affrancamento è essenziale anche per avere un’idea di quella che è la reale pressione della tassazione sulle transazioni finanziarie.

In pratica l’affrancamento ha permesso di assoggettare all’imposta in vigore ossia il 20% tutti i plusvalori che sono stati realizzati alla data del 30 giugno 2014. Attraverso questa cessione non reale, l’investitore ha potuto mantenere il titolo nel suo portafoglio. L’investimento, quindi, non ha avuto alcuna interruzione. A partire poi dal successivo primo luglio il prezzo di carico del titolo ai fini fiscali è stato equiparato a quelle presente alla data dell’affrancamento stesso. Da quel momento in poi, la tassazione futura sul capital gain ha riguardato la differenza di prezzo rispetto al nuovo prezzo di carico.

Affrancamento fiscale come si chiede

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I precedenti storici hanno mostrato che per richiedere l’affrancamento fiscale è sempre stato necessario seguire un iter molto particolare. Quando la tassazione sulle rendite finanziarie fu portata dal governo Monti dal 12,5% al 20% fu pubblicato un regolamento al quale gli investitori dovevano attenersi per far scattare l’affrancamento.

La legge stabiliva che ogni investitore doveva fornire una apposita comunicazione all’intermediario chiedendo di lasciare bloccata la propria aliquota. Il valore assoggettato a tassazione avrebbe quindi rappresentato il nuovo costo fiscalmente riconosciuto delle attività affrancate.

Affrancamento fiscale automatico

La trafila di atti necessari per richiedere l’affrancamento fiscale è stata enormemente semplificata con il provvedimento del maggio 2014. In pratica da allora l’affrancamento è diventato automatico nel senso che in sede di rimborso è subito scattata automaticamente la distinzione tra i guadagni realizzati prima prima del 01/07/2014 (tassati al 20%) e quelli realizzati in una fase successiva e tassati al 26%. Si è trattato di un evidente processo di semplificazione.

Affrancamento rendite finanziarie conviene

tassazione-rendite

La possibilità di ricorrere all’affrancamento venne colta da molti investitori. Del resto gli stessi esperti, nel momento in cui fu pubblicata la normativa relativa alla tassa sulle transazioni finanziarie, consigliarono di non lasciasi sfuggire questa possibilità. Ovviamente il suggerimento riguardava solo quei conti che erano in guadagno. Viceversa, per quello che riguarda i titoli in perdita, la procedura di affrancamento venne sconsigliata. In occasione dell’ultimo aumento della tassazione sulle transazioni finanziarie si ebbe così una reazione opposta a quella che avvenne nel 2012. In quella circostanza, l’affrancamento fu scelto da pochi investitori. La maggior parte degli operatori subì semplicemente l’aumento dell’aliquota dal 12,5% al 20%.

Questo disinteresse fu il frutto di due diverse cause. Da un lato ci fu l’oggettiva complessità della procedura necessaria per la richiesta e dall’altro la particolare situazione finanziaria. Nel 2012, infatti, le plusvalenze sul mercato erano davvero poche. In quel periodo, infatti, gli investitori erano alle prese sopratutto con una serie infinita di minusvalenze. Altra epoca quindi.

Tassazione Forex & CFD Trading e affrancamento

trading CFD

Attualmente la tassazione sul Forex & Cfd Trading è assimilata a quella su tutti gli altri strumenti finanziari. L’aliquota, quindi, è paro al 26% contro il 20% che è rimasto in vigore fino a luglio 2014. In precedenza, poi, l’aliquota era addirittura pari al 12,5%. Anche il trading, quindi, è stato interessato all’incremento della tassazione deciso dal governo Renzi.

Ovviamente l’aumento dell’imposizione che si è verificato nel corso del 2014 ha determinato non pochi problemi per i traders che si sono trovati a fare i conti con il riporto delle perdite degli anni precedenti al 2014. Gli investitori hanno dovuto procedere con la sterilizzazione di tali perdite che è avvenuta attraverso apposite percentuali stabilite per legge. Anche nel caso del trading, quindi, la decisione del governo Renzi di introdurre una revisione alla normativa fiscale in corso d’anno, ha determinano non pochi problemi. E’ ovvio, infatti, che se banche e intermediari si sono disposte ad inizio anno su una determinata linea, un cambio brusco dell’imposizioni a metà anno, porti a conseguenze negative e confusione. Anche in quel caso, comunque, il periodo di transizione venne aggirato attraverso l’affrancamento automatico.

Tasse trading online oggi

Oggi, anno 2016, la normativa relativa alla tassazione delle attività da trading online è molto più chiara. L’aliquota è pari al 26%. Ovviamente quando parliamo di trading online ci riferiamo solo a quegli intermediari che sono autorizzati e regolamentati. Fermo restando che il trading è comunque una attività che espone a rischi il capitale dell’investitore, consigliamo sempre di verificare la presenza dell’autorizzazione del broker ad operare. A tal riguardo nello schema sottostante sono indicate le migliori piattaforme di Forex & Cfd Trading autorizzate anche in Italia.

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Per dichiarare i proventi da attività di trading ci sono due strade a disposizione. In sede di dichiarazione dei redditi, infatti, si può utilizzare il regime sostitutivo o il regime dichiarativo. Nel primo caso sarà il broker a fare tutto. Spetta, infatti, all’intermediario comunicare direttamente con il fisco e detrarre dai profitti del trader la somma dovuta a titolo di tassazione. Ovviamente l’investitore sarà poi informato su questi calcoli automatici. Scegliendo il regime dichiarativo, invece, le plusvalenze realizzate nell’attività di trading online dovranno essere riportate in sede di dichiarazione dei redditi dello stesso trader. Ovviamente il riferimento è alle operazioni dell’anno precedente ossia il 2015.

La stragrande maggioranza degli investitori preferiscono, per ovvi motivi, il regime sostitutivo. Rapportarsi con il fisco italiano, infatti, non è mai una passeggiata e da qui la decisione di scaricare tutto sul broker. Sia nel caso in cui si scelga il regime sostitutivo che nel caso in cui si opti per il dichiarativo, è sempre bene però fare due conteggi in autonomia. La tassazione del Forex & Cfd Trading, infatti, è uno di quei fattori che fa lievitare i costi e commissioni del trading. Per evitare di veder eroso il proprio guadagno tra costi e tasse, consigliamo sempre di studiare per bene quelle che sono le offerte dei vari broker.

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