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Il debito pubblico è il totale delle passività accumulate nel tempo da uno Stato sovrano nei confronti di una serie di creditori, sia nazionali (privati cittadini, aziende, banche, assicurazioni) che internazionali (governi e investitori stranieri). Per finanziare la spesa e le attività pubbliche lo Stato deve emettere titoli di debito, ovvero i titoli di stato, che saranno acquistati in asta e sui mercati secondari da investitori istituzionali, enti sovranazionali e semplici risparmiatori. Il debito pubblico viene definito debito estero, quando viene contratto con soggetti economici di paesi stranieri.

Il debito domestico, invece, è quello contratto dallo Stato centrale con i soggetti economici interni allo stesso stato. I governi emettono i titoli di stato attraverso il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Tuttavia, l’emissione di titoli di debito è consentita anche ad altri soggetti pubblici, ovvero i Comuni, le Regioni, le Province, gli Enti pubblici o gli Stati federati. Per valutare la capacità di un paese di rispettare gli impegni con i suoi creditori si utilizza un indicatore preciso, ovvero il rapporto debito/pil.

Se il debito pubblico tende ad aumentare in modo costante, mentre il pil (prodotto interno lordo) cresce poco o addirittura si sperimenta una fase di recessione per un periodo prolungato di tempo, il rischio di insolvenza dello Stato sovrano cresce sensibilmente e gli investitori chiederanno tassi di interesse sempre più alti in cambio dell’acquisto dei titoli di stato diventati più rischiosi.

Se lo Stato riterrà di non essere più in grado di onorare il proprio debito e quindi di rimborsare i creditori, può dichiarare default totale (azzerando completamente il debito) o parziale (ristrutturazione del debito). Questa “macchia” si tradurrà in futuro in tassi molto elevati per accedere ai mercati internazionali, con giudizi sul merito di credito molto bassi assegnati dalle principali agenzie di rating.

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