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Le obbligazioni a rendimento negativo sono un particolare tipo di obbligazioni che quasi nessun investitore vorrebbe avere nel proprio portafoglio di investimenti. Infatti, come da nome, le obbligazioni a rendimento negativo non portano profitti nelle tasche di chi le compra, bensì perdite. Spesso le obbligazioni a rendimento negativo sono la conseguenza più evidente di politiche monetarie troppo aggressive; politiche monetarie che finora hanno portato ad accumulare ben 7000 miliardi di dollari di bond a rendimento negativo. Una cifra che molto probabilmente è destinata ad aumentare nel corso del tempo. Questi bond, se comprati e tenuti fino a scadenza, porteranno molto probabilmente ad una perdita per l’investitore che ha deciso di acquistarli. Eppure, questi bond a rendimento negativo sono ancora in circolazione e c’è ancora chi decide di comprarli, nonostante lo spettro delle potenziali perdite collegate a questo particolare tipo di bond.

Perché vengono emessi bond a rendimento negativo

Sono molti gli stati Europei che emettono bond a rendimento negativo, tra cui anche l’Italia stessa. Un bond a rendimento negativo equivale ad una perdita sicura per chi decide di acquistarli. In poche parole, l’investitore che compra un bond a rendimento negativo, paga lo stato emittente del bond per fargli tenere i propri soldi (quelli investiti con l’acquisto del bond). In questo modo si prova a scoraggiare i capitali dal confluire nella moneta del proprio paese, che a causa dei flussi si rivaluterebbe. Tutti gli stati desiderano una moneta debole al giorno d’oggi per avere una maggiore competitività (per le proprie industrie e aziende) in ambito internazionale. E per fare in modo che la propria moneta risulti debole, vuol dire che tutti la devono vendere ed in pochi comprarla.

Chi compra i bond a rendimento negativo

Compreso cosa sono i bond a rendimento negativo e relativi vantaggi per chi li emette, sorge spontanea la domanda: ma chi decide di investire nei bond a rendimento negativo? Bisogna specificare che non si tratta di investitori privati, bensì di solito sono investitori istituzionali, come la stessa Banca Centrale Europea. Tramite il piano finanziario Quantitative Easing per combattere il rischio deflazione, la Banca Centrale Europea si è impegnata ad acquistare i bond dei paesi dell’Eurozona, investendo ben 80 miliardi di euro ogni mese. Tutto ciò per stimolare le differenti economie nazionali nella speranza di incoraggiare i prestiti grazie all’abbassamento degli oneri finanziari, con il fine ultimo di promuovere la crescita dell’economia. Tra gli investitori istituzionali vi sono anche moltissime banche, che puntano proprio ad acquisare i bond a rendimento negativo poiché gli conviene.

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Può suonare strano, ma bastano pochi minuti per comprendere la situazione. Le banche di tutta l’Europa dispongono di una maggiore liquidità in questi mesi, proprio grazie alle manovre finanziarie del Quantitative Easing. In tempo normali, le banche avrebbero depositato questa liquidità in eccesso presso la Banca Centrale Europea, per tenerla al sicuro. Però Mario Draghi, Presidente BCE, ha messo in atto una mossa per disincentivare le banche a depositare soldi presso la BCE: ha deciso di far pagare alle banche interessi dello 0,20% sulle somme che depositano presso la Banca Centrale Europea. Una cifra che le banche preferiscono non pagare, anche perché possono scegliere un “male minore”. Già capito quale? Esatto, i bond a rendimento negativo. Per esempio, tra il perdere lo 0,20% depositando presso la BCE, ed il perdere solamente lo 0,02% con i bond a rendimento negativo, immaginate un po’ quale delle due opzioni le banche sceglieranno. Ecco perché le banche preferiscono investire nei bond a rendimento negativo: un modo per tenere al sicuro il loro capitale, andando a perdere il minimo possibile.

Ma vi sono anche altri scenari da tenere in considerazione. Non è detto che tutte le banche vogliano tenere i bond acquistati fino a scadenza, quindi andando ad incassare una perdita. Se le prossime emissioni dei bond dello stesso tipo  offrissero rendimenti ancora più negativi, il valore dei vecchi bond salirebbe: infatti se i tassi scendono il valore di un titolo di Stato che ha cedole fisse nel loro ammontare aumenta e viceversa. In questo caso, se le banche andassero a rivendere i propri bond, andrebbero ad ottenere un profitto. Un’ipotesi possibile, considerando come la Banca Centrale Europea stia premendo per rafforzare ulteriormente il piano Quantitative Easing, per forzare al ribasso i rendimenti dei bond. Un altro fattore che entra in gioco sono le attese sull’andamento generale dei prezzi al consumo. Se per esempio nel futuro prossimo ci si aspetta uno scenario di deflazione, quindi con i prezzi che scendono per esempio dell’1%, l’idea di parcheggiare il proprio capitale tramite i bond a rendimento negativo dello 0,02% restituirebbe a fine scadenza una somma maggiore di quella iniziale (in termini di potere di acquisto).

Bond a rendimento negativo per aiutare le economie nazionali

Risulta chiaro quindi che chi trae vantaggio dall’acquisto dei bond a rendimento negativo sono principalemente (se non solo) le banche e gli istituti finanziari. Perché quindi la Banca Centrale Europea preferisce aiutare le banche anziché aiutare concretamente i vari stati? Teoricamente, la BCE sta facendo proprio ciò. Più volte Mario Draghi ha sottolineato come sia importante che le banche tornino ad offrire prestiti, e quindi liquidità, a famiglie e piccole-medio imprese.Ecco perché è stato messo in atto il piano Quantitative Easing, un modo per permettere alle banche di guadagnare utili e profitti in tempi medio-brevi. Qualcuno potrebbe chiedersi: perché le banche non utilizzano direttamente i soldi che ricevono dalla BCE per fornire prestiti ai propri clienti? Il problema ha un nome preciso: i crediti deteriorati, anche conosciuti come non performing loans. Si tratta di prestiti che le banche hanno fatto nel tempo, ma che al giorno d’oggi risultano pratiamente impossibili da riscuotere, o come minimo molto difficile. Per esempio, una banca può aver fatto un prestito ad una piccola impresa che a causa della crisi ha dovuto chiudere i battenti, e quindi il prorprietario non è più in grado di ripagare il credito che gli era stato fornito. Oppure una famiglia, dove magari uno dei componenti ha perso il lavoro e complicato la situazione economia della famiglia.

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In Italia il problema dei crediti deteriorati è davvero l’osservato speciale del governo, tant’è che è stato anche attivato il fondo Atlante, un fondo di investimento voluto dal governo italiano per aiutare le banche a combattere questi crediti deteriorati (che in Italia ammontano a 200 miliardi lordi, tre volte la media europea). Inoltre, le banche devono mettersi in linea per rispettare i nuovi criteri finanziari di Basilea 3, ovvero le nuove regole di supervisione bancaria che sono diventate più severe da dopo la crisi finanziari adel 2008. Per rispettare questi nuovi parametri finanziari e gestire il problema dei crediti deteriorati le banche hanno due vie possibili: aumentare il proprio capitale oppure bloccare l’erogazione di nuovi prestiti. I profitti che le banche potrebbero guadagnare con questi bond a rendimento negativo, almeno questo è il piano di Draghi, dovrebbero essere utilizzati per aumentare la solidità del proprio capitale, evitando quindi di distrubuirli agli azionisti sotto forma di divendi. Se le banche aumentano la propria solidità finanziaria, saranno quindi di nuovo in grado di concedere prestiti, l’obiettivo della Banca Central Europea.

Anche i vari stati europei possono trarre giovamento da una situazione del genere. Avere investitori che acquistano i propri bond a rendimento negativo, significa stimolare una moneta debola. Ed inoltre, ottengono così soldi in prestito, venendo pure pagati per questi prestiti ricevuti. Insomma, il sogno proibito di tutte le casse pubbliche statali, ecco come si potrebbe considerare la situazione dei bond a rendimento negativo. Chi invece soffre, e molto, riguardo alla situazione dei bond a rendimento negativo, sono i fondi e le assicurazioni, che hanno venduto prodotti con ritorni garantiti. Per esempio, in Germania l’interesse garantito ai sottoscrittori supera il 3%, a fronte di un rendimento del titolo decennale tedesco che non arriva allo 0,5%. A livello europeo metà delle assicurazioni vita pagano interessi superiori ai rendimenti dei titoli decennali del paese dove hanno sede. Una situazione non proprio perfetta, ma necessaria per tentare di stimolare l’economia europea e combattere lo spettro della deflazione.

 

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