L’impatto della guerra tra Russia e Ucraina è stato analizzato da molti punti di vista. Gli studi maggiori si sono concentrati sugli effetti in ambito energetico e sulle conseguenze per le industrie con esposizione verso i due paesi oggi in guerra tra loro. Un settore che non ha occupato le prime pagine dei giornali è quello alimentare. Eppure il settore della produzione alimentare, a differenza ad esempio di quello energetico, era già reduce da due anni molto difficili a causa dell’emergenza covid19/lockdown. Lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina e il conseguente braccio di ferro su tutta la linea tra Mosca e l’Occidente, non hanno fatto che aggravare ancora di più le prospettive del comparto alimentare.
Oggi non si pecca di pessimismo ma al contrario si è estremamente realisti, se si riconosce che il conflitto tra Russia e Ucraina rischia di provocare una crisi alimentare di vastissima portata.
Secondo un’analisi realizzata da McKinsey, ad essere sottopressione è tutta la filiera dell’approvvigionamento delle granaglie vale a dire dei cereali utilizzati per la produzione di alimenti (in primis grano e pasta ma l’elenco è comunque lunghissimo).
I numeri sono spaventosi: attualmente sono appena 6 le granaglie alla base della produzione di circa il 60/70 per cento di tutti i prodotti agricoli globali. Russia e Ucraina assieme detengono il 30 per cento delle esportazioni globali di grano e ben il 65 per cento di quelle di girasole. Non è quindi un caso se prodotti a base di girasole, già nelle settimane successive allo scoppio delle guerra, avessero subito un forte rialzo dei prezzi al dettaglio.
La verità è che in un mondo globale e interconnesso, qualsiasi riduzione lato offerta (sia pure essa limitata sia per quello che riguarda la portata che per quanto concerne la lunghezza temporale) non può non condizionare i prezzi dei cereali (e quindi a cascata dei prodotti di derivazione).
Il fattore temporale diventa quindi fondamentale ma il problema è che nessuno sa, neppure lontanamente, quanto potrà durare il conflitto. Dalla durata della guerra dipenderanno i prezzi dei cereali, il livello di rischio di crisi alimentare e l’andamento dei fondi focalizzati sul settore agricolo.
Ad esempio se il conflitto dovesse durare fino alla fine del 2022, allora qualcosa come 19/34 milioni di tonnellate di produzione di granaglie sparirebbe con gravi ripercussioni sull’offerta globale. Ma se la guerra tra Russia e Ucraina dovesse durare fino al 2023, allora a rischio ci sarebbe una quota compresa tra i 10 e i 43 milioni di granaglie.
Come si può notare da questi numeri, i range sono molto ampi poichè le variabili in gioco sono tantissime. Ad ogni modo quello che è certo è che con il calo dell’offerta, fino a 150 milioni di persone correrebbero gravi rischi alimentari. Non è un mistero che alcuni paesi come ad esempio l’Egitto o la Turchia sono del tutto legati alle importazioni di grano dalla Russia e dall’Ucraina.
In realtà, però, tutti i paesi si potrebbero trovare a fare i conti con una crisi alimentare. Unica eccezione la Cina che, fiutando quello che poteva succedere, aveva incrementato le sue riserve di granaglie (sulle mosse di Pechino c’è tutto un dibattito in corso).
Economia alimentare: i nodi del futuro
Le argomentazioni sul rischio crisi alimentare che abbiamo citato in precedenza, fanno parte del più vasto discorso sulla food economy di cui ci siamo occupati anche in altri articoli.
In questa sede, più che i numeri del comparto, ci interessano le prospettive del settore. E si perchè la food economy, vale a dire l’economia agro-alimentare, sarà chiamata nell’immediato futuro a sciogliere tutta una serie di nodi. Destino curioso per un comparto che, fino a prima dell’esplosione della pandemia di covid19, aveva goduto di scarsissima ribalta. Con il lokdown prima e poi con lo scoppio della guerra in Ucraina (e il conseguente rischio di una crisi alimentare di vastissima portata), ecco che la food economy è diventata centrale. Del resto esistono anche numerosi fondi che investono sulla food economy e quindi la questione è di fondamentale importanza anche dal punto di vista dell’investitore.
Tre i nodi più importanti da cui dipende il futuro dell’economia agro alimentare:
- la necessità di tenere in considerazione il ruolo del cambiamento climatico con l’annesso rischio desertificazione che significherebbe riduzione delle aree destinate alle coltivazioni e crisi alimentari più frequenti. Una strada che ultimamente viene percorsa per ridurre il peso dei sempre più frequenti (e prolungati) periodi di siccità è la creazione delle fattori verticali. Secondo un report recente di Morgan Stanley, tali iniziative potrebbero registrare una crescita fino al 25 per cento nei prossimi anni. Tuttavia è difficile immaginare che queste fattorie, rivolte unicamente alla produzione di qualità, possano essere un vero argine al cambiamento climatico.
- la necessità che il singolo faccia la sua parte ovvero che le abitudini alimentari degli individui inizino a cambiare nella consapevolezza che si è tutti parte di un grande sistema. Cambiamenti delle abitudini alimentari significa ad esempio aumento del consumo di cibo biologico e comunque di prodotti che provengono da una filiera di qualità. Secondo gli esperti di Morgan Stanley, nel decennio compreso tra il 2020 e il 2030 non è da escludere che possa esserci un aumento del settore bio fino al 6 per cento. Tra i trend del futuro ci potrebbero essere anche tutti gli alimenti proteici alternativi. Sempre secondo gli analisti americani, il giro d’affari di questo settore potrebbe crescere fino a 80 miliardi di euro. Ovviamente l’incremento del peso del cibo sano e il ridimensionamento di quello spazzatura è possibile solo se sempre più persone optano per una alimentazione di qualità. Le campagna di sensibilizzazione da parte dei governi e soprattutto da parte degli enti sanitari diventa fondamentale. Le scuole sono l’ambiente da cui partire per creare cittadini che siano consapevoli anche da un punto di vista alimentare.
- Le due sfide citate in precedenza, potranno essere vinte solo se si arriverà, nel corso del tempo, ad una gestione efficiente delle risorse. Questo obiettivo potrà essere raggiunto solo dando il giusto spazio all’agricoltura di precisione e alla robotica. E’ questa una storia tutta da scrivere anche se in alcuni paesi, già da molti anni, i governi hanno mostrato di avere le idee chiare su questa questione. L’agricoltura di precisione usa la tecnologia per riuscire ad ottimizzare le produttività. Diventa quindi fondamentale investire in sviluppo della conoscenza. Servono competenze e tecnici per poter consolidare il settore della robotica e dell’agricoltura di qualità in modo tale da fornire poi al comparto alimentare strategie e strumenti efficaci.
Insomma come si intuisce da questi tre punti, il settore agricolo ha urgente bisogno di essere trasformato. Se l’agricoltura non cambia recependo gli spunti della food economy, allora i rischi di una crisi alimentare saranno sempre più frequenti.
Gli investitori sembrano aver colto questo passaggio come dimostra il grande appeal che i fondi agricoltura sembrano avere.
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