La brusca frenata messa a segno dalla lira turca, che ha toccato il suo livello più basso mai registrato dal 1981 ad oggi, ossia da quando Bloomberg ha iniziato a registrare i dati della valuta di Ankara, ha portato la Banca entrale turca a tentare di frenare la svalutazione vendendo 8,3 miliardi di dollari. Gli analisti continuano però ad essere pessimisti, del resto la lira turca ha perso negli ultimi tre mesi il 7,5% del suo valore, registrando così il crollo maggiore tra i mercati emergenti in Europa, Medio Oriente e Africa.
Il crollo della valuta è stato ricondotto in larga parte all‘uscita degli invetitori dai mercati emergenti, iniziata quando la Federal Reserve ha fatto sapere di essere intenzionata a ridurre l’ammontare di liquidità, pari a circa 85 miliardi di dollari, che immette ogni mese nell’economia mondiale. A questo si aggiunge l’impossibilità per la Turchia di poter contare sull’uso delle riserve in valuta per proteggere la sua stabilità finanziaria, in quanto ammontano a 109 miliardi dollari e secondo buona parte degli analisti sono pertanto insufficienti per far fronte alle sue necessità.
La situazione, dunque, pare sia destinata a peggiorare, con conseguenze negative oltre che sull’economia del Paese anche sui conti delle numerose società presenti in Turchia, fino a qualche mese fa considerata un’economia in forte espansione e che negli ultimi 5 anni ha registrato tassi di crescita compresi tra il 7% e il 9%.
Restringendo il campo alle sole società italiane quotate in Borsa, secondo un articolo pubblicato da La Repubblica, potrebbero risentire della svalutazione della lira turca e delle conseguenti difficoltà di tipo economico del Paese diverse società italiane. Tra le più attive in Turchia sono state indicate Unicredit, presente nel Paese con Yapi Kredi; Fiat, presente con la joint venture Tofas; Pirelli, presente con un grosso stabilimento di pneumatici; Recordati, presente in Turchia attraverso una società controllata.
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