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Il 2025 si sta affermando come uno degli anni più significativi nella storia recente del mercato dell’oro. Tra fine settembre e la seconda settimana di ottobre, il metallo prezioso ha superato la soglia psicologica dei 4.000 dollari l’oncia troy, aggiornando ripetutamente i massimi storici. Un risultato che, secondo numerosi osservatori internazionali, non è frutto di una semplice speculazione, ma il riflesso di un cambiamento strutturale nei flussi di capitale globali.

Dei lingotti d'oro con un grafico a candele in sovrimpressione e una freccia verde verso l'alto
Oro alle stelle – ValoreAzioni.com

Negli ultimi due anni il prezzo dell’oro è praticamente raddoppiato, sostenuto da una domanda sempre più solida da parte delle banche centrali e da un afflusso costante di capitali verso fondi ed ETF legati al metallo. Questo avviene nonostante, in alcuni mesi del 2025, il ritmo degli acquisti ufficiali abbia mostrato un lieve rallentamento. Il messaggio che arriva dai mercati è chiaro: l’oro non è più soltanto una copertura temporanea, ma sta tornando a essere un pilastro strategico nei portafogli istituzionali.

Uno dei fattori centrali dietro questo fenomeno è l’aumento della percezione del rischio geopolitico. Con un mondo sempre più frammentato, segnato da conflitti armati, tensioni commerciali e rivalità tra blocchi economici, molte banche centrali stanno riducendo la dipendenza dal dollaro statunitense e dagli asset denominati in valuta USA. L’oro, in questo contesto, viene visto come una riserva politicamente neutrale, difficilmente sanzionabile e non legata alle decisioni di un singolo Paese.

A pesare sulle scelte delle autorità monetarie c’è anche l’andamento irregolare dei mercati obbligazionari. Nel corso del 2025, i bond sovrani hanno vissuto fasi di forte volatilità, mettendo in discussione il loro ruolo tradizionale di bene rifugio. L’aumento del debito pubblico nei Paesi avanzati e i costi sempre più elevati per il servizio del debito hanno contribuito a erodere la fiducia in alcuni strumenti storicamente considerati sicuri. In questo scenario, l’oro appare come un’alternativa più stabile sul lungo periodo.

Le dichiarazioni delle principali istituzioni europee confermano un clima di cautela. La Banca Centrale Europea, pur mantenendo l’obiettivo di riportare l’inflazione al 2 percento nel medio termine, ha riconosciuto che fattori come dazi più elevati, concorrenza globale e dinamiche valutarie stanno frenando la crescita. Anche se l’impatto di questi elementi potrebbe attenuarsi nel tempo, l’incertezza resta elevata e alimenta la domanda di asset difensivi.

Secondo diversi economisti, le banche centrali non stanno acquistando oro solo per proteggersi dall’inflazione, ma per difendersi dalla politicizzazione delle valute. La possibilità che asset in dollari possano essere congelati, svalutati o utilizzati come leva geopolitica ha spinto molti Paesi a rafforzare le proprie riserve auree. In questo senso, l’oro viene considerato una forma di assicurazione sistemica, più che un semplice investimento.

I dati sugli acquisti lo confermano. Nella prima metà del 2025, le banche centrali avrebbero aggiunto circa 410 tonnellate di oro alle riserve globali, un valore nettamente superiore alla media degli ultimi cinque anni. A guidare questa tendenza sono soprattutto i Paesi emergenti, che cercano di diversificare le riserve e ridurre l’esposizione al dollaro. Queste istituzioni, spesso meno sensibili alle oscillazioni di prezzo di breve periodo, considerano l’oro un deposito di valore stabile nel tempo.

Parallelamente, anche gli investitori privati stanno aumentando l’esposizione al metallo. L’interesse crescente per ETF e strumenti finanziari legati all’oro segnala una ricerca diffusa di protezione contro volatilità, inflazione persistente e incertezza politica. Molti analisti suggeriscono allocazioni moderate, generalmente tra il 5 e il 10 percento del portafoglio, proprio per sfruttare la funzione di diversificazione senza esporsi eccessivamente alle fluttuazioni.

Un altro elemento che rende il ciclo attuale particolarmente interessante è la rottura della relazione storica tra oro e tassi di interesse. In passato, tassi elevati tendevano a penalizzare il prezzo del metallo. Oggi, invece, si osserva una situazione in cui tassi relativamente alti e oro su massimi storici coesistono, segno che il prezzo è guidato da una combinazione di fattori più ampia, legata soprattutto al rischio sistemico globale.

In questo contesto si inseriscono anche previsioni particolarmente ambiziose. Alcune grandi banche d’affari ipotizzano che, in scenari di forte stress istituzionale o di indebolimento della fiducia nelle banche centrali, l’oro possa avvicinarsi alla soglia dei 5.000 dollari l’oncia. Non si tratterebbe tanto di una scommessa sull’inflazione, quanto di un aumento del “premio di sicurezza” pagato dagli investitori in un mondo percepito come più instabile.

La tendenza di fondo sembra quindi chiara. Il capitale globale si sta spostando gradualmente da una logica di ricerca del rendimento a una di protezione e resilienza. In un contesto in cui la fiducia negli asset tradizionali viene messa alla prova, l’oro sta riconquistando un ruolo centrale come riserva di valore, hedge geopolitico e strumento di stabilità all’interno dei portafogli istituzionali e privati.

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