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Secondo le ultime indiscrezioni, entro la fine dell’estate, ma probabilmente già il prossimo luglio, Poste Italiane potrebbe approdare sul listino della Borsa di Milano. In questi giorni, infatti, è tornato alla ribalta il tema della privatizzazione, sulla scia del piano di valorizzazione del gruppo annunciato lo scorso mese dal premier Enrico Letta.

Secondo alcune stime, in particolare quelle formulate da Deutsche Bank nel 2010 in occasione dell’uscita dal capitale della Cassa Depositi e Prestiti previa cessione di una quota del 35% a favore del Tesoro, la valutazione complessiva della società si aggira intorno ai 10 miliardi di euro. Ad oggi l’ipotesi è quella di un flottante azionario del 40%, di cui il 50-60% dovrebbe andare agli investitori istituzionali, una quota del 5% ai dipendenti e la parte restante al canale retail.

Per quanto riguarda i dipendenti, essi diverranno automaticamente soci e avranno un loro rappresentante all’interno del Consiglio di amministrazione. Al riguardo, ricordiamo, il presidente della Cisl, Raffaele Bonanni, nelle scorse settimane ha chiesto che ai dipendenti di Poste Italiane venisse riconosciuta una quota del flottante pari almeno al 10%, in modo tale da ricalcare quanto già accade oggi nelle poste britanniche.

Prima dell’approdo in Borsa di Poste Italiane, tuttavia, vanno risolte alcune questioni importanti. Anzitutto manca il perfezionamento dell’accordo con la Cassa Depositi e Prestiti che per remunerare la raccolta di risparmio in cui affluiscono Buoni Fruttiferi Postali e Libretti Postali versa ogni anno a Poste Italiane un forfait (1,6 miliardi di euro nel 2012). L’obiettivo è quello di allungare questo accordo da uno a tre-cinque anni.

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